L’Annunciazione

 

 

L’installazione di

 

Ignazio Fresu

 

“Annunciazione”:

 

un’opera

 

particolare nel

 

quadro artistico

 

contemporaneo.

 

 

 

L’installazione di Ignazio Fresu “Annunciazione” è un’opera particolare nel quadro artistico contemporaneo. Si presenta nella tecnica cara all’artista, con le unità che la compongono che sono all’apparenza pietrificate nel tempo e nella forma. Ed è in questo spazio/tempo dove tutto è immobile, sospeso in un istante eterno, che nel silenzio e nell’assenza delle figure, i protagonisti sembrano avere improvvisamente abbandonato la scena. Così come in altre opere di Fresu, quali ad esempio “Polvere”, “Memento” o “Ultima cena”, i personaggi del racconto non si mostrano nella loro fisicità, ma s’impongono esattamente attraverso l’attimo successivo alla loro teatrale scomparsa, interagendo con gli spettatori che, occupando lo spazio, danno vita all’installazione diventando essi stessi comparse e attori del contesto.

“L’Annunciazione” si avvale di tutti quei simboli che appartengono all’iconografia classica e al ricordo che noi tutti abbiamo delle immagini legate alla rappresentazione dell’evento. Questo rimando alla memoria è sempre presente nel lavoro di Ignazio Fresu, suggerendo nello spettatore l’intrecciarsi di due linee che sono la nostra intima memoria personale e quella storica collettiva. In quest’opera il paravento sul fondo della scena svolge il ruolo simbolico di celare alla vista l’ambiente intimo della stanza da letto della Madonna e insieme sorreggere la tenda aperta, che già nelle prime rappresentazioni cristiane simboleggiava la Rivelazione.

L’installazione, nella sua sinteticità, presenta poi un inginocchiatoio – leggio, dove secondo la tradizione, la Madonna assorta nella lettura della preghiera, riceve la visita dell’Arcangelo Gabriele. Sul leggio è dunque posto un libro aperto e su di esso il simbolo di purezza, un giglio che viene porto dall’angelo e che nel quadro di Fresu appare già accettato dalla Maria, insieme al destino che le è stato profetizzato. Questa successione implica un altro aspetto molto importante nell’opera e riguarda la sincronicità degli eventi che richiamano la tradizione figurativa medioevale e che nella fattispecie è raffigurata dal velo bianco virginale, ormai caduto a terra e dalla presenza di una culla che prefigura la natività. Culla che nel suo aspetto rammenta una mangiatoia, quella stessa ove verrà posto Gesù alla sua nascita.

A completare l’opera di Ignazio Fresu c’è, infine, posto in primo piano sul velo bianco a terra, una melagrana, che nell’iconografia cristiana rappresenta la passione e la morte di Cristo. In questo caso però, il frutto è stato vetrificato, la superficie esterna trasparente ed inalterabile, lascerà intravedere al suo interno la lenta decomposizione, trasformando la sua natura autentica in una essenza eterea, celando appena il ricordo della sua forma originaria così com’era stata nell’apparenza.

 

Sassanelli Antonella

55. Esposizione internazionale d’arte - Giardini

 


Testo e fotografia Antonella Sassanelli

 


La Biennale di Venezia 2013.


 

Padiglione Russia: installazione "Danae" di Vadim Zakharov.


Una cascata di monete da cui ripararsi e dure frasi alle pareti: maleducazione, lussuria, narcisismo, demagogia, banalità, invidia, ingordigia e stupidità. Le donne posso varcare l’ingresso dal pianterreno o dal piano superiore, gli uomini solo da quest’ultimo. Alle donne viene offerto un ombrello e la possibilità di far parte attiva dell’installazione. Agli uomini si propone un inginocchiatoio e l’occasione di riconoscere la propria avidità e l’adulazione al dio denaro.  


 


L'installazione nel Padiglione Giappone, oltre ad un “ricordo” di ciò che è stato esposto alla biennale di architettura 2012, è un insieme di oggetti e video: riprese dei cosiddetti “Atti collettivi” di Koki Tanaka.


 


Padiglione olandese -  Mark Manders - Room with Broken Sentence


 


FINLANDIA / PADIGLIONE PAESI NORDICI. - Terike Haapoja


 


Padiglione Canada - Shary Boyle (1972, Canada) Alienate figure liberano le proprie fasi di angoscia, di strazio e di collera in apparente armonica quiete.


Padiglione Venezuela. Un collettivo di Artisti Urbani venezuelani si riappropria di spazi civili, in un processo creativo di strada, urbano e sotterraneo.


 


Padiglione Spagna.


 


Lara Almarcegui presenta una vasta installazione che parte da un progetto di ricerca sull’isola Sacca San Mattia di Murano, per arrivare ai Giardini con montagne di macerie, detriti, terreni incolti e spiazzi abbandonati.


 

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55. Esposizione internazionale d’arte - Arsenale

 

La Biennale di Venezia 2013.

 

 

Cose da vedere

 

 

Pawel Althamer – Figure che cercano, o che sono così scoraggiate da rifiutarsi di farlo ?  Corpi muti e ciechi che colpiscono per il rimbombante silenzio.

 

 

Arte stroboscopica

 

 

Fatto Immaginario è la mostra che presenta il Sud Africa. Artisti che servendosi di  materiali del passato commentano il contemporaneo. Effetto “Niente di nuovo all’orizzonte”.

 

IILA-Latin America - El Atlas del Imperio

Sonia Falcone (Bolivia), Campos de color, 2012. Installazione. Vari pigmenti e spezie.

 

CINA, Repubblica Popolare Cinese

Transfiguration

He Yunchang, Hu Yaolin, Miao Xiaochun, Shu Yong, Tong Hongsheng, Wang Qingsong, Zhang Xiaotao spaziano dalla pittura al video, fotografia e installazione.

Il padiglione cinese è in assoluto il più bello già di suo. E gli artisti cinesi sempre molto interessanti. Sanno usare i sensi, coinvolgere, incuriosire e trattenere il visitatore.

 

 

 

Testo e fotografia Antonella Sassanelli 

 

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Vice versa - Padiglione Italia alla 55 biennale venezia 2013

 

Vice versa - Padiglione Italia alla 55 biennale venezia 2013

Quattordici artisti invitati, sette ambienti da interpretare. Coppie che hanno per lo più creato le loro opere in vista di questa 55.Esposizione d’arte. Francesco Arena, Massimo Bartolini, Gianfranco Baruchello, Elisabetta Benassi, Flavio Favelli, Luigi Ghirri, Piero Golia, Francesca Grilli, Marcello Maloberti, Fabio Mauri, Giulio Paolini, Marco Tirelli, Luca Vitone, Sislej Xhafa.

 

Vice versa propone un percorso espositivo composto da sette stanze, sette ambienti ognuno dei quali ospita due artisti in dialogo tra loro, dove il senso profondo di questa vocazione dialettica è manifestato dalle opere esposte.

 

Marcello Maloberti (1966)

La voglia matta, 2013, è una performance in cui il nucleo centrale è costituito da un grande

monolite di marmo di Carrara, sulla cui sommità quattro persone sollevano e abbassano

altrettanti teli mare, dando corpo a un’architettura provvisoria, instabile e nomadica.

Un’opera nel suo insieme che si distingue per la potenza totemica e sacrale

dell’immagine che riesce a generare, ibridando riferimenti colti e suggestioni provenienti

dalla vita quotidiana.

 

 

Elisabetta Benassi (1966)

The Dry Salvages, 2013, si presenta come un pavimento dissestato composto da circa 10.000 ‘mattoni’ di argilla del Polesine – teatro della disastrosa alluvione del 1951 –, marchiati sulla superficie con i nomi e i codici alfanumerici di catalogazione dei più grandi detriti spaziali ancora in orbita intorno alla Terra. Un’opera che vuole essere una riflessione sull’inesorabilità del tempo e sulla potenza distruttiva della natura, e che al contempo celebra la tendenza scientifica e ossessiva dell’uomo alla catalogazione, dichiarando la consapevolezza della sua stessa impossibilità.

 

 

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Numero Speciale di Sckeda Metropolitana

31 gennaio 2012 – anno IV

La serenità e la sua ombra

 

http://www.proteoprato.org/serenity.pdf 


L’invadenza dell’Io

di Antonella Sassanelli

 

“Serenità è quando ciò che dici, ciò che pensi, ciò che fai, sono in perfetta armonia.” Non lo diceva uno qualunque, ma il Mahatma Gandhi, e per un tema così importante, così fondamentale come “La serenità e la sua ombra”, non posso fare a meno di ripensare a grandi profeti, studiosi, filosofi. Mi trovo a considerare  le parole di un grande uomo di chiesa. Già, dopo essermi soffermata a leggere dei rapporti tra induismo e cristianesimo, sono finita alla lettera pastorale "Parlo al tuo cuore" scritta nel 1996 dall’ Arcivescovo, Cardinale Carlo Maria Martini. Ecco, per Sckeda vorrei scrivere proprio di questa lettera, in cui vengono posti i grandi interrogativi dell'uomo e presentati come "regola di vita del cristiano". Non ci sono risposte facili, ma si può trovare uno spunto per meditare, a prescindere dal proprio credo. Dal Capitolo primo “Interrogatio: l'inquietudine del cuore”, una "regola di vita" vorrebbe anzitutto essere un tentativo di dare risposte a domande vere, quando questo “vere” si presenta come sinonimo di sincere, reali, interrogativi che vengono dal profondo. Qual è l’ombra della serenità ? Forse, la questione estrema è la morte. “Come stanno insieme i dolori e le gioie della vita? Quando si pensa a tante sofferenze della gente, qualunque godimento, anche il più legittimo e semplice, sembra scolorire, appare come stonato. Perché invece ha senso? Come si conciliano le gioie autentiche di questo mondo con le prospettive di morte?” E “perché, se è vero che Dio ci ha salvato, non ci ha liberato dalla necessità di morire?”  Forse saremmo davvero tutti più sereni. Ma, che sia o meno la morte la vera ombra della serenità, io mi limito a soffermarmi sulla riflessione al punto 5, che mi piace in particolar modo: “L'invadenza dell'Io.” Quante volte le questioni che poniamo sono mosse da motivazioni false, “o, per dirla tutta, da un'invadenza dell'Io, che vuole stare al centro e misurare su di sé tutte le cose: penso alla fatica che tutti facciamo ad uscire dalle pastoie delle nostre motivazioni egoistiche; penso alla facilità con cui ci lasciamo prendere da logiche particolaristiche, incapaci come siamo di guardare al di là del nostro piccolo calcolo.” Se riuscissimo “a riconoscere le ragioni del nostro disagio di vivere e della nostra mancanza di felicità e di pace anzitutto in noi stessi, nella fatica e nella paura di amare che ci portiamo dentro, nel sospetto di non essere amati, nella diffidenza di fronte a ogni atteggiamento di amore gratuito”, saremmo in grado di rimuovere l’ombra e potremmo vivere la purezza della serenità. 

 

 

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Hansel e Gretel ...

 

 

Un altro qui


Antonella Sassanelli


http://www.skeda.info/scheda-_skeda_periodico_Prato/home_2.html 

 

Hansel e Gretel Garden Picture

New York City. Hansel e Gretel Garden Picture. Chi può, vada. E’ una galleria d'arte contemporanea,The venue specializes in work that is often viewed as extreme or degenerate. specializzata in un lavoro che mira a ridefinire l'arte contemporanea dal 2012 al 2050. Hansel e Gretel Garden Picture è considerata estrema, ha una spiccata vocazione che interessa la direzione futura dell'arte, ed è l'unica istituzione commerciale a New York che presenta esclusivamente lavori post-postmoderni.

 

Mostra dell’Illustrazione per l’Infanzia

Mostre di ROBERT DOISNEAU – Palazzo delle Esposizioni, Roma e di GUTTUSO, complesso del Vittoriano, sempre a Roma, e poi anche DIVISIONISMO. Da Segantini a Pellizza Milano, GAM Manzoni e BOLDINI, PREVIATI E DE PISIS. DUE SECOLI DI GRANDE ARTE A FERRARA, Palazzo dei Diamanti. Tutti artisti affermati, correnti ispirate, manifesti influenti, occasioni sostanziose. Eppure c’è un evento, che compie ben 6 lustri, che sarebbe bene andare a visitare. Anno dopo anno si è imposto sempre di più come avvenimento di importanza internazionale e di interesse culturale, artistico e turistico. E’ la Mostra dell’Illustrazione per l’Infanzia di Sàrmede, il paese delle fiabe vicino a Treviso. Un’opportunità ghiotta, poiché mette a disposizione di tutti - grandi e piccini - sogni, paure, successi. Tracciati con gli occhi e con il cuore di paesi diversi, disegnati e segnati da diverse culture, goduti e condivisi nel trevigiano. La Fondazione della Mostra internazionale, il Comune di Sàrmede e il Consiglio regionale Veneto celebrano a ragione questo anniversario, promuovendo e incentivando la vetrina internazionale che da trent'anni espone i lavori dei migliori artisti e illustratori per l'infanzia, con un’edizione straordinaria dal titolo 30×2. La tavole di 60 illustratori tra i più importanti al mondo, ci faranno strada in un percorso sorprendente attraverso le fiabe, le leggende ed i racconti narrati con il linguaggio dell’arte. Dal 27 ottobre 2012 al 20 gennaio 2013 nel paese trevigiano e a primavera a Venezia, dove la rassegna farà tappa a palazzo Ferro-Fini, sede del Consiglio veneto. L'esposizione veneziana coronerà il successo internazionale raggiunto dalla manifestazione e vuole evidenziare il valore culturale di un progetto capace di coniugare arte e territorio, formazione e turismo. Altra eccellenza di questo paese, è la peculiare tradizione iniziata da Štepán Zavrel: quella dei dipinti murali. Ad oggi sono cinquanta gli affreschi e i dipinti realizzati da illustratori, artisti e allievi della Scuola Internazionale d’Illustrazione di Sàrmede. Interessante sapere che la Scuola internazionale per illustratori d'infanzia, nei mesi estivi viene frequentata da oltre 300 artisti e docenti tra italiani e stranieri.

 

30° Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia

Quando: dal 27 Ottobre 2012 al 20 gennaio 2013
Dove: Sàrmede, il paese delle fiabe (Treviso), Palazzo municipale. Ingresso libero.

 

 

Approposito, tra Sàrmede, le ville del Palladio, un Canova e un Giorgione … non dimenticatevi che la Marca Trevigiana è la patria d’elezione di uno dei più noti spumanti italiani, il PROSECCO DOCG!

 

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 FRODE E MENZOGNA NELL’ARTE

                              Grandi opere, tutte bugiarde

Antonella Sassanelli



 


Grandi opere, tutte bugiarde: ad Aqui Terme esiste il Museo della Menzogna! In realtà è una bottega in cui si trovano copie d'autore, da Gauguin, a Renoir, da Van Gogh e Dalí a Modigliani: si garantisce la stessa emozione che di fronte agli originali. Qual è la novità ? Nessuna. Il falso in materia artistica è fenomeno piuttosto assiduo e antico, di recente c’è che i mass media moderni consentono un facile palcoscenico all'offerta. 
I contraffattori d'arte sono sempre esistiti, capaci di dipingere o di scolpire "alla maniera di..." , come ci sono sempre stati i cercatori di falsi, specialisti in grado di afferrare l'autenticità o meno di un'opera d'arte. Fornitori di bellezza i primi, difensori della stessa bellezza i secondi. 

Federico Zeri, grande storico dell'arte, è stato uno dei più brillanti “custodi”: nel 1983, quando era consulente al Paul Getty Museum di Malibu, ha sconsigliato l’acquisto di un kouros (giovane vittorioso), considerata un originale greco del 530 a.C., perché la riteneva un falso. Niente da fare, hanno speso ben 7 milioni di dollari per poi ritirare la statua dall’esposizione nel 1990. Zeri usava metodi personali, assaggiava addirittura le opere, sostenendo che gli acidi, i solventi e i coloranti sostano per decenni e quindi è possibile capire se sono state usate sostanze per dare una "patina antica". 

Uno dei più grandi falsari, invece, fu Eric Hebborn che sosteneva di voler "far capire quanto sono ignoranti coloro che si occupano di arte - Un tempo a giudicare erano gli artisti: oggi, invece, gente a cui spesso manca perfino la grammatica". 
E si vantava di aver "trattato sempre e soltanto con gli esperti, perché è disonesto ingannare un privato incompetente; io non ho mai detto "questa è un'opera di": sono stati sempre i critici a fare delle attribuzioni". 
Hebborn dichiarava di aver imbrogliato galleristi, direttori di musei, critici e che più di 1000 opere sue sono esposte in musei di tutto il mondo, British Museum di Londra, Metropolitan Museum di New York, National Gallery di Ottawa compresi. 

Ma la più spropositata truffa di tutti i tempi, è quella scoperta nel 2010 in Svezia e organizzata dal direttore del Museo d’Arte Moderna di Stoccolma, Pontus Hultén: oltre un centinaio di Scatole Brillo firmate dall’artista statunitense Andy Warhol e autenticate proprio da Hultén. Precisamente 110 opere d’arte vendute a caro prezzo e battute per milioni di euro presso le case d’aste piú rinomate del mondo: tutta paccottiglia senza valore. 
A proposito di falsi e bidoni, già nel 1995 Alice Beckett denunciava nel libro "Fakes: forgeries and the art World" che il 40 % delle opere presenti tra musei, gallerie e case d’asta erano fregature, ma che i professionisti dell’arte frodati preferiscono non divulgare la notizia e rivendere a loro volta seguitando il raggiro. 

Detto questo, il bello dell’arte è che regala emozioni e dunque, come può essere considerato menzognero qualcosa che colpisce ed emoziona in modo autentico? Va considerato verace, e non ingannevole, quando la commozione e il coinvolgimento restano le stesse che posti di fronte agli originali, soprattutto se al cospetto di un’opera si provano turbamento, entusiasmo e incanto. 

http://www.skeda.info/scheda-_skeda_periodico_Prato/home_2.html 


 


 



 

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LA FOTOGRAFIA SI MANIFESTA MASSIMA ARTE

 

Quello che ho visto io all'ARTE FIERA BOLOGNA 2012

 



ARTE FIERA BOLOGNA:
LA FOTOGRAFIA
SI MANIFESTA MASSIMA ARTE

di Antonella Sassanelli
articolo scritto per
Sckeda Metropolitana - Rubrica: Un altro qui

Sto ancora cercando di capire se la delusione che ho provato zigzagando per la Fiera è dovuta al fatto che gli organizzatori hanno voluto puntare su storia e geografia, insomma “roba vecchia e sicura”, se non hanno potuto individuare nuove tendenze per mancanza di fondi o se davvero hanno voluto trattare la mostra d’arte contemporanea più importante d’Italia come una divinità, ente ormai supremo, a dispetto del successo di pubblico. Comunque sia, la mia riflessione finale alla luce di quanto visto, è che la fotografia si è manifestata come la massima Arte.

Sachigusa Yasuda Aerial#2.2 Nato nel 1968 in Giappone.


Dopo un’aperta ostilità e tramite una confessata mutua influenza, eccoci arrivati a poter togliere la e di congiunzione tra arte e fotografia.

Il primo passo verso il riconoscimento di Arte con la A maiuscola.

Il primo passo verso una pacifica convivenza con ciò che è sempre stato considerato Arte.

Il primo passo verso una stima ben conquistata, ottenuta per degni meriti e, banalmente, con lo sfondamento di una barriera che tendeva a non adeguarsi alla modernità, ai nuovi mezzi tecnologici, alle possibilità di scambio e contaminazioni tra i linguaggi espressivi.



Matteo Basilé (Roma, 1974) è considerato uno dei principali esponenti dell’arte digitale europea. Da circa dieci anni fonde la cultura digitale con l’iconografia classica, re-inventando l’idea del ritratto. Un fotografo che costruisce con le stesse regole prospettiche del pittore quattrocentesco, ma realizza attraverso tecniche fotografiche digitali di post produzione.


Ora la fotografia si attesta come mezzo artistico riconosciuto e apprezzato, che va al di là della ripresa del reale per arrivare al bello, con eleganza e raffinatezza, anche laddove può permettersi di giocare con visioni kitsch o ideali.


Sontuosa e spettacolare la fotografia scenografica di Claudia Rogge (Dϋsseldorf, 1968).


La fotografia si dimostra più coraggiosa e più aperta alla sperimentazione di nuovi scenari, non soffrendo il peso del paragone con il passato, e potendo godere dell’esperienza fatta e della ricerca in corso.


Chen Jiagang – Classe 1962, ha studiato architettura a Chongqing .Fotografo a tempo pieno dal 2001. Le sue immagini sono un mix di fotografia documentaristica, di scena e concettuale.

Ci sono quadri da inventare: situazioni, contesti, sfondi non ancora visualizzati. È un mondo espressivo che supporta idee nuove, punti di vista e modelli separati dai soliti schemi.


Segnalo questa interessante Mostra a Roma:


-Macro Testaccio - Fino al 29 aprile 2012 Steve McCurry Saranno esposte oltre 200 fotografie, scattate nel corso degli oltre 30 anni della sua straordinaria carriera di fotografo e di reporter, tratte in parte dal suo vasto archivio e in parte provenienti da campagne fotografiche recenti, molte delle quali inedite.

Piazza Orazio Giustiniani (00153) +39 06671070400 macro@comune.roma.it www.macro.roma.museum


Antonella Sassanelli - 3 marzo 2012
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Robert Mapplethorpe: le verità svelate

 

“La macchina fotografica può rivelare i segreti che l’occhio nudo o la mente non colgono “ dice Isabel Allende. Questa frase si addice bene alla ricerca della bellezza canonica, realizzata da Robert Mapplethorpe, uno dei più importanti fotografi del Novecento, che riuscì a realizzare opere al tempo stesso classiche e contemporanee. La scoperta di altre e inattese verità, e la possibilità di nuovi obiettivi, vivendo al di sopra e al di là del conformismo e con il sentire della propria coscienza. Speranza, fiducia ed un’istintiva certezza nelle occasioni e nel prossimo.


Mapplethorpe aveva cominciato come pittore, faceva collages con immagini prese da riviste porno gay, in seguito cominciò lui stesso a realizzare delle polaroid e capì che quella era la sua strada, tele e pennelli vennero abbandonati. La sua competenza e l’abilità tecnica si fecero sempre più raffinate con la conseguenza di sconcertare e affascinare il pubblico e conquistare la critica che lo considerò un fotografo "professionista". Usò situazioni e gente di strada che vennero così consacrati alla categoria d'oggetti d'arte. È la sfrontatezza di Mapplethorpe che parla attraverso di loro: soggetti senza filtri, sfacciati, che rivolgono lo sguardo dritti in macchina e che esigono considerazione. L’osservatore resta senza difese e ne è soggiogato.


Con i primi autoscatti del 1973 si confessa e apre il dialogo sull’omosessualità. Con i nudi degli afroamericani - scultorei, perfetti e pensanti - afferma nuove icone e freschi idoli. Ma le persone al centro di questo mondo non sono in armonia e in equilibrio con ciò che li circonda ed è proprio tale disagio, questo aver bisogno di qualche seduta freudiana, che li rende assai più naturali, indifesi e disarmati. Un po’ più delicati e meno assurdi.


C’è chi ha paragonato il suo punto di vista del mondo, assolutamente sessuale, a quella carica sensuale, vigorosa e brutale, che si ritrova nei quadri del Caravaggio, e chi nelle sue immagini in bianco e nero con esibizioni sado-maso ritrova aspetti del neo-classicismo del Canova, con l’immortale forza di seduzione e rigetto tra Eros e Thanatos, tra pulsione di vita e pulsione di morte, tra corpo e intelletto. Certo è che Robert Mapplethorpe esprime la classicità che lo avvicina alla grande arte rinascimentale michelangiolesca, attraverso le differenze e le trasgressioni che compongono i suoi scatti e che risultano purificate, quasi immacolate, chiamando ad una visione di grande genuinità e limpidezza.


Il senso della ricerca è la perfezione della figura, l’unica che può rivelare la Bellezza. La mostra al Forma di Milano è un esempio di come, nonostante si cambino le tecniche, si possano riconoscere i capolavori del passato e quelli del presente, ed il ruolo della fotografia in tutto questo è fondamentale in quanto possiede un linguaggio diretto che tutti riescono a capire.


In mostra con una grande personale a Milano, in uno spazio polifunzionale all'interno di uno storico deposito di tram, la Fondazione Forma in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation, presenta una serie di scatti, dalle prime polaroid degli anni Settanta ai ritratti dedicati al corpo maschile, passando per l'omaggio alla musa Patti Smith.


Forma - Piazza Tito Lucrezio Caro 1, Milano

dal 2 dicembre al 9 Aprile 2012

Sarà possibile visitarla tutti i giorni dalle ore 10 alle ore 20. Il Giovedì e il Venerdì l’orario è prolungato fino alle ore 22. Lunedì è giorno di chiusura.


http://www.formafoto.it/

info@formafoto.it

articolo di Antonella Sassanelli per Sckeda Metropolitana
http://www.skeda.info/scheda-_skeda_periodico_Prato/UN_ALTRO_QUI_1_0_5.html

 

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SOLO SHOW


Mostra personale dell’artista Mariano Bellarosa

 

 

Antonella Sassanelli

Lavori pregevoli, acuti e degni di attenzione. Così, si presentano le opere di grafica e collage dell’interessante mostra personale dell’artista Mariano Bellarosa, nella bella cornice della Cascina Roma a San Donato milanese. L’artista che nella sua carriera ha saputo spaziare dalla musica, alla videoart, dalle installazioni alle performance, è divulgatore della Mail Art, e partecipa a mostre nazionali e internazionali. Inoltre è animatore insieme a Claudio Gavina della”Brigata Topolino”, gruppo aperto che si occupa di Performance e azioni di disturbo artistico e fa parte della redazione di “Fare Poesia”, rivista di Poesia e Arte Sociale nella quale cura lo spazio” Disegni Condivisi”. Oggi ci propone lavori di arte visiva ed in particolare disegni a china, di cui dice: “Ad un certo punto del mio percorso ho sentito l’esigenza di semplificare i codici di comunicazione e di creare un linguaggio visivo che arrivi a più gente possibile. Il disegno mi permette tutto questo: dialogare e comunicare anche con i NON addetti ai lavori. In un periodo dove il concettuale è spesso tirato all’eccesso e la poetica ha preso il sopravvento sulla forma (nel senso che se un’opera d’Arte non viene supportata da una valanga di parole, di concetti e di metafore, non si capisce niente), produrre semplici disegni mi sembra quasi rivoluzionario”. Mariano osserva la società e propone, con le sue creazioni suggerisce riflessioni personali e invita a pensare riguardo a fatti e avvenimenti attuali, offre l’occasione per fermarsi e condividere considerazioni, manifestare opinioni, o godersi commenti chiari e spontanei.

In una saletta indipendente Mail Art Project "ART IS EASY" omaggio a Giuseppe Chiari. Progetto del 2007 ideato e curato da Mariano Bellarosa e presentato al pubblico per la prima volta.

Mariano Bellarosa - SOLO SHOW
Cascina Roma - Piazza della Arti 2 - San Donato Milanese (MI)
Fino al 16 novembre alle ore 18.30
Dal lunedì al sabato 9,30 - 12,30 14,30 - 18,30
domenica 10 - 12,30 16,30 - 19
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Alberto Burri e Giuseppe Berto: alla ricerca di chi è stato ricercato e preso e di chi ha ricercato e trovato.

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Articolo di Sassanelli Antonella per Sckeda Metropolitana

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Alla ricerca di chi è stato ricercato e preso, di chi ha ricercato e trovato. Alberto Burri e Giuseppe Berto si conobbero nel campo di concentramento di Hereford, in Texas, prigionieri di guerra, nel 1944. Due grandi del secolo scorso, che si distinsero nella letteratura e nell’arte. Tutti e due bisognosi di comunicare profondamente, ambedue capaci di inventare “parole” nuove. Burri realizza nel criminal camp i suoi primi lavori, si dice con i sacchi di juta delle patate. Berto affascinato dal senso del concreto di Sherwood Anderson e da Hamingway scrive “Il cielo è rosso”, ma sarà con il pluripremiato - e universalmente riconosciuto - “Il male oscuro”, che inventa un nuovo modo di esprimersi. Scrisse Berto: A trent’anni Burri decise che non avrebbe più fatto il medico, perché si trovava in disaccordo con l’intera umanità. Così cominciò a dipingere. V’era nella sua pittura una forma che ci sconcertava e una sostanza che ci sfuggiva. Certamente era onesto Berto ad esprimersi così: Burri di lì a poco avrebbe profanato certezze secolari nel mondo dell’arte. L’informale e la ricerca di materiali extrapittorici, che lui veicola all’arte, si contraddistinguono, definendosi in modo fermo e acquisendo sempre maggior forza nel corso degli anni ’50. La materia, che era sempre stata strumento fisico della forma, con Burri inverte il rapporto: l’immagine sottostà alla materia, così che congiuntamente all’azione e al segno, diventa protagonista. L’opera non è più una raffigurazione della realtà ma è un costituente della realtà. Burri comincia con i sacchi che lacera, strappa, sfibra e cuce, cerca di ispessire la materia pittorica con catrame, vinavil, cementite, segatura, pietra pomice, polvere d’ alluminio, sabbia. Le plastiche e le lamiere permettono più “abusi”, l’azione è espressa dalle cesure, combustioni, saldature. L’utilizzo del cellotex gli permette di esprimersi con maggior elasticità, con fessure lievi e recisioni profonde. Così come i cretti, che può modulare a suo piacimento. La ricerca del colore e la stessa scelta dei titoli delle opere sono essenziali, diretti, puliti (Grande rosso, Grande cretto nero, Sacco nero e rosso). Berto, dal canto suo, percorre un faticoso cammino che lo porterà a diventare semplice, crudo e diretto: squarcia, soffoca, confessa, contesta, assolve, senza tirar mai fiato, riuscendo a impigliare occhio e cervello del lettore e regalando con beffa amara ma riservata, la capacità di sondare la parte di noi stessi più buia, quella che rigettiamo col risultato di ingigantirla, in soluzione al nostro sforzo di eclissarla. Burri e Berto feriscono e “curano” le e con le proprie opere.

Interessante è notare come la loro ricerca sia alla base di altre e nuove ricerche attuali, come “lo studio del comportamento dei leganti polimerici impiegati nei film pittorici, attraverso l'individuazione e determinazione di parametri chimici, fisici e meccanici … per la conservazione e il restauro dell'arte contemporanea.” O ancora, scrittori che si sono rifatti al linguaggio originale di Berto: penso a Filippo Tuena nei capitoli in cui parla lo scrittore in “Le variazioni Reinach”.

Appassionante, infine, è constatare come questi maestri con la loro indagine artistica siano stati precursori ed ispiratori di schiere di altri artisti, in una vera e propria filosofia dell'essere.

Alberto Burri e Giuseppe Berto: alla ricerca di chi è stato ricercato e preso e di chi ha ricercato e trovato.
Antonella Sassanelli
per Sckeda Metropolitana
http://www.skeda.info/scheda-_skeda_periodico_Prato/UN_ALTRO_QUI_1_0_4.html

Antonella Sassanelli - 21 ottobre 2011
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Shadow art : dall' ombra, l' arte.

 

Articolo di Sassanelli Antonella per Sckeda Metropolitana

 

Antonella Sassanelli
Si sa che l'ombra è una zona scura creata da un corpo che intercetta i raggi delle fonti di luce, ma ciò che si vede nella sagoma di un’ ombra è realtà o inganno ? Le nostre zone d’ombra possono essere l' opportunità per incrementare la nostra coscienza individuale e verificare la nostra interezza, così come la comprensione dell’ ombra può diventare linguaggio artistico e creativo.

Nelle opere di Tim Noble e Sue Webster, Kumi Yamashita e Shigeo Fukuda, l’ ombra non è una traiettoria casuale, ed è nell’ombra che le forme si manifestano nella fondatezza della loro apparenza. Non abbaglio, dunque, ma una precisa combinazione a diffondere una verità che si svela solo in condizioni precise di forma e luce.

La Shadow Art è una forma unica di arte scultorea, dove le ombre in 2D vengono espresse da sculture in 3D, fondamentali per la realizzazione di questa spettacolare forma d’ arte.

Si può davvero dire, in questo caso, che le ombre siano false rispetto a ciò che le ha create ? Si potrebbe invece pensare che siano molto vicine alla disvelazione dell’anima delle cose. Come forse succede anche con le zone d’ombra delle persone.

L’ombra infatti qui, non deforma né nasconde, creando invece figure informanti.

Non tutto ciò che si vede è vero: una serie di illusioni/ombra dimostra che ogni tanto ciò che l'occhio percepisce, non è la verità. Ed è bello sapere che, a volte, la spazzatura con l’ombra brilla !

Dirty White Trash 1998 Tim Noble & Sue Webster



Kumi Yamashita – artista giapponese - crea opere d’ ombra davvero impressionanti, utilizzando oggetti semplici e comuni come carta, legno, alluminio e, soprattutto, la luce. Lei predispone questi oggetti in un modo particolare per creare stupefacenti sagome di persone e cose.
Real Life Is Rubbish di Tim Noble e Sue Webster viene ricavato dai rifiuti di tutti i giorni.

La vita reale è spazzatura - 2002 Tim Noble & Sue Webster



La vita reale è Spazzatura, del 2002 : un azzeccato connubio di bellezza e aspetti oscuri dell’ umanità giocano in quest’ opera, mettendo alla prova il nostro senso estetico e le nostre sensazioni. Ci si trova di fronte ad un cumulo di spazzatura che con la luce proiettata contro, crea un’ immagine ombra assolutamente diversa da quella che l’ha generata.

Pranzo con il casco è uno dei primi lavori di Shigeo Fukuda, attuato con un assortimento di 848 forchette, coltelli e cucchiai saldati insieme.

Shigeo Fukuda - Pranzo con il casco



senza titolo di Kumi Yamashita

Kumi Yamashita




SHADOW ART - Dall’ ombra, l’ Arte articolo di
Antonella Sassanelli
per Sckeda Metropolitana
http://www.skeda.info/scheda-_skeda_periodico_Prato/Arte_3_5_1_4.html

Antonella Sassanelli - 20 giugno 2011
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Museo della Mafia.Cesare Inzerilo. Compianto.
Museo della Mafia.Cesare Inzerilo. Compianto.

Dalla Biennale che ci tocca alla Biennale toccante.

Articolo pubblicato su Sckeda Metropolitana - Antonella Sassanelli

Antonella Sassanelli


Fonte Sckeda Metropolitana : http://www.skeda.info/scheda-_skeda_periodico_Prato/UN_ALTRO_QUI_1_0_3.html

Dopo 116 anni di vita, la Biennale conferma di essere una delle manifestazioni d’ Arte più importanti del globo. La formula è confacente a presentare questa “Mostra Internazionale”, in realtà parsimoniosa di novità, che non trascura di far scoprire anche fresche sfaccettature di ciò che è noto: le tre tele del Tintoretto - l’Ultima Cena, il Trafugamento del corpo di San Marco e la Creazione degli Animali - “monito agli artisti viventi a non indulgere nelle convenzioni!” come dice il Presidente Paolo Baratta, sono poste elegantemente nel Palazzo delle Esposizioni, circondate dai piccioni di Cattelan, che in verità sono ovunque, tanto che dopo il primo impatto di curiosità, più per il sentito dire e le polemiche dei giorni scorsi, vengono a noia.


I piccioni di Cattelan

 

Cattelan



I numeri della 54.Biennale sono impressionanti, tra padiglioni fissi, invitati, mostra internazionale ed eventi collaterali, un paio di cose sono sicure: impossibile vedere tutto ed improbabile restare lucidi di fronte a così tante opere, rappresentazioni e concetti. Così opto per qualche solito noto e mi dedico con vera curiosità all’ altra Biennale, quella delle novità, dei Padiglioni debuttanti, di cui parlerò esonerandomi dall’ ordine di percorso.

Quasi inaspettato il padiglione dell’ Egitto, che era stato in forse fino ad Aprile, porta una delle esperienze artistiche e sociali più commoventi, coinvolgenti e toccanti di tutta la Biennale, attraverso il documentario “30 Days of Running in the Place” e un filmato sui primi giorni di rivoluzione, realizzati dall’artista multimediale Ahmed Basiouny, ucciso il 28 gennaio in Piazza Tahrir durante la rivolta. Una decisione coraggiosa quella della curatrice Aida Eltoire che, con l’ aiuto e la partecipazione dell’ artista Shady El Noshokaty, ha voluto raccontare e ricordare i grandi cambiamenti avvenuti di recente in Egitto.

Le sorelle Shadia e Raja Alem per l’Arabia saudita, che per la prima volta partecipa alla Biennale di Venezia, presentano l’ installazione ”The Black Arch” – l’ Arco Nero - rappresentazione del pellegrinaggio a La Mecca, e cercano di illuminarci sul valore del Nero, all’interno del quale crescono: dalle sagome nere delle donne saudite, al telo della Ka’aba, la casa di Dio, fino alla Pietra Nera.


Arabia Saudita.Shadia e Raja Alem.The Black Arch



Pena nei container di Haiti disposti perpendicolarmente a crux commissa - Death and fertility - ad opera del gruppo Atis Rezistans, che vuole richiamare l’ attenzione sia della loro provenienza, un quartiere molto povero di Port-au-Prince che si trova nelle vicinanze del porto, sia della realtà sociale, culturale ed economica di Haiti fatta di commercio marittimo e sfruttamento.


Haiti



Il Padiglione Corea è stupefacente, si entra e si viene immersi in fiori e colori, specchi e robot, poi ci guarda meglio intorno e dai fiori spuntano armi [Angel soldier] e gli specchi esplodono [Broken mirror], ci sono i soldati con tute mimetiche a fiori, e altri specchi che riflettono la nostra immagine ma proiettandoci dentro e tra i visi di Budda e Gesù. E poi i lucidi manichini della serie delle Pietà.


Corea.Angel soldier



Corea.Broken mirror



Corea.Pietà



Corea.Pietà.2



Grande bazar, esplosione di creatività, per il “Re delle rane”. Hong Kong apre la Mostra di Kowk Mang-ho nello spazio espositivo di fronte all’ ingresso dell’ Arsenale, con una quantità di installazioni che pare straripare, ma senza l’effetto “affastellato”.


Hong Kong. Kowk Mang-ho Frog King.



Hong Kong. Kowk Mang-ho Frog King.2.



Hong Kong. Kowk Mang-ho Frog King.3.



Hong Kong. Kowk Mang-ho Frog King.4.



Sembra di essere in una chiesa, con tanto di panche, candele e altare, nel padiglione della Germania, dove è stata ricreata un’installazione del 2008 di Christoph Schlingensief, scomparso la scorsa estate.


Germania.Christoph Schlingensief.



La Francia ha portato Christian Boltanski e il suo contorto congegno, che ci avrebbe colpiti lo stesso anche fosse stato meno grandioso. Volti di neonati e di anziani deceduti, si s/compongono gli uni con gli altri, per bloccarsi con uno stridore acuto alla combinazione di un viso completo. Toccante, penetrante e suggestivo questo lavoro, con la conta dei neonati in tempo reale in uno spazio e dei morti in un’ altro.



Francia.Christian Boltanski.2



Francia.Christian Boltanski.3



Lo Zimbabwe cerca di mettersi in discussione, confrontando il proprio passato, presente e futuro. Almeno così vuol fare intendere, ma pare che la realtà qui sia ancora parecchio coercitiva. Colpiscono comunque le installazioni di Tapfuma Gutsa ‘Rough Justice’,’The Teatre Absurd ‘ e la scultura ‘Lightning’.


Zimbabwe.Tapfuma Gutsa

 

Zimbabwe.Tapfuma Gutsa 2

 

Zimbabwe.Tapfuma Gutsa.Lightning



Attraverso le “Parabole” di cinque artisti appare alla 54.Biennale anche la Repubblica Popolare del Bangladesh. Con l’installazione ‘I was told to say these words’ fatta di maiali e pelli, neon e suono, Mahbubur Rahman ironizza sulle convenzioni comuni e l’obbligo sociale a soggiacere ad una serie di norme strutturate. E ancora: in una società patriarcale quali sono le opinioni del maschio verso il “femminile” ? Ecco la mordace installazione ‘Bizzarre and the beautiful’ di Tayeba Begum Lipi: lingerie fatta di lame di rasoio in acciaio inox.


Bangladesh.Mahbubur Rahman . I was told to say these words.2.

 

Bangladesh.Mahbubur Rahman . I was told to say these words.

 

Bangladesh.Mahbubur Rahman . I was told to say these words.3

 

Bangladesh.Tayeba Begum Lipi.Bizzarre and the beautiful



Memory of Books di Chiharu Shiota, evento collaterale a cura di James Putnam, è un’ interessante installazione. Una stanza intera occupata da libri, una scrivania e una vastità di fili di lana nera, intrecciata, nebulosa, a rappresentazione delle intricate relazioni umane.


Memory of Books di Chiharu Shiota.



‘Acqua ferita’ è il tema dei sei artisti che rappresentano l’Iraq, più della guerra civile e del terrorismo, infatti, la penuria di un bene fondamentale come l’acqua è uno dei più estremi allarmi.


Iraq.Ali Assaf.Narciso.



Iraq.Azad Nanakeli.Acqua



Nel Padiglione USA artisti e atleti collaborano nelle varie performance. Si corre per la pace su un tapis roulant posto sopra un carro armato rovesciato: installazione pacifista. Si, si, sono persuasa, infatti abbandono il padiglione. Amen. L’arte furbesca, quella scaltra, d’ altronde non è contemporanea, è vecchia come il mondo.


Padiglione USA



Riuscita la performance personale di Vittorio Sgarbi, che ha ottenuto di essere l’unico artista del Padiglione Italia. Mettendo in piedi un’ esibizione durata mesi tra “lascio o raddoppio”, ha ribaltato ruoli e status. Intellettuali "di chiara fama" hanno fatto i curatori e gli artisti sia che abbiano accettato, ma ancor più quelli che hanno rifiutato, alla fine hanno fatto i critici. Che baraccone che ne è venuto fuori ! Eppure, con tutte queste opere, buttate là, accumulate come in un deposito, si è riusciti a dare esattamente l’ idea dell’Italia, almeno di quella che ci sarà finché ci saranno gli Sgarbi e i Bondi.


Museo della Mafia.Cesare Inzerilo. Compianto.


Museo della Mafia.Cesare Inzerilo. Compianto.2


Museo della Mafia.Cesare Inzerilo. Compianto.3



Torniamo a parlare di emozioni e commozioni, che è compito dell’arte. E parliamo ancora di Vittorio Sgarbi, questa volta davvero curatore. E’ il Museo della Mafia: si cammina in penombra, la musica è coinvolgente, e attraverso i titoli dei giornali si scorrono gli anni e i fatti della mafia. Ci sono 10 cabine, tipo quelle elettorali, che diventano luogo di racconto e di orrore: parlatoio, macello, confessionale. Menziono in particolare la sala del ‘Compianto’ di Inzerillo, una sala che a dispetto della semioscurità e della musica rasserenante, pare urlare e richiamare l’attenzione dell’ umanità ad una sofferenza senza tempo.


Museo della Mafia. Cabine



La biennale cinese è la più amara da raccontare. Difficile riuscire ad apprezzare fino in fondo le belle e aromatiche installazione degli artisti scelti dal regime, peccato per gli sforzi che loro hanno fatto per arrivare fino a qui, con la cappa scura del grande assente-più presente che mai Ai Weiwei. Lo spazio a disposizione dei cinesi è uno dei più belli, con questi grandi serbatoi per l’olio che i cinque artisti sono riusciti ad includere nelle opere e installazioni multisensoriali. Nel giardino antistante il padiglione, umide nuvole avvolgono di profumo il visitatore. Cai Zhisong, Liang Yuanwei, Pan Gongkai, Yang Maoyuan e Yuan Gong, ognuno con il proprio stile, cercano il bello, che nell’estetica cinese viene messa in relazione al sapore: il profumo del te, dei fiori di loto, delle erbe medicinali, dell’incenso e dell’alcol.


Cina.


Cina.Pan Gongkai.Snow melting in lotus.


Cina2.



Il Padiglione più lontano, una passeggiata fino a Sant’ Elena: contaminazioni artistiche per lo Stupore della Costa Rica, in cui troviamo l’installazione ‘Ragno’ in vetro, plexiglass e led della brava artista fiorentina Silvia Fossati. La risolutezza a rispettare i diritti inalienabili dell’uomo, onde evitare un nuovo oscurantismo puntando sulla meraviglia della rinascita.


Costa Rica. Silvia Fossati. Ragno



Di padiglione in padiglione, da mostra a evento collaterale, è di pazienza che ci si deve e ci può armare, quello che semmai manca al visitatore che dispone di solo un giorno o due, è il tempo. Lo stesso che è stato meticolosamente studiato per consumare le sculture in cera dello svizzero Urs Fischer, trentotto anni, che riproducono in grandezza naturale il Ratto delle Sabine di Giambologna e destinate a bruciare lentamente sino al 27 novembre, quando la Biennale chiuderà i battenti.


Urs Fischer.



Antonella Sassanelli per Sckeda Metropolitana


Una foto curiosa che mi sono fatta attraverso i giochi di specchi nel Padiglione delle Repubbliche Ceca e Slovacca



Antonella Sassanelli - 19 giugno 2011

 

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Articolo pubblicato su Equilibriate 7 giugno 2011

 

Padiglione Italia: al di là del veleno e delle invidie

 

Qualche giorno per far decantare le prime sbalorditive impressioni personali. Però ho stima del lavoro degli artisti e desidero fortemente salvare il loro impegno. Così mi metto alla ricerca di ciò che merita.

 

Antonella Sassanelli

 

Qualche giorno per far decantare le prime sbalorditive impressioni personali, gli affilati commenti degli addetti ai lavori incontrati al Padiglione Italia durante i giorni delle inaugurazioni, i commenti velenosi di chi mi è passato accanto e le poche interpretazioni benevole di qualcuno che probabilmente suo malgrado è finito in questo calderone. Tutto in questo edificio sembra approssimazione. Ci sono opere ancona imballate, quelle già montate sembrano accatastate in qualche modo e la prima immagine che mi si richiama alla mente, è un terminal container. Però ho stima del lavoro degli artisti e desidero fortemente salvare il loro impegno. Così mi metto alla ricerca di ciò che merita, a prescindere dal curatore, dalle polemiche e dalle facili sprezzanti osservazioni che ovunque leggo in questi giorni, soprattutto da parte di chi alla 54.Biennale non c’è proprio andato.

 

Apprezzo ‘ L’ultima classe ’, serie ad olio di Greta Frau, composta da 13 piccole opere cm. 29 x 22.

 

Mi è piaciuta ‘La ragazza di essere in due’, pittura e scultura di Franca Pisani, composizione di donna, donna seduta, sedia e papyrus.

 

Lois Anvidalfarei ha portato “ Ecce Homo”, fatica in bronzo, ferro e funi

 

Il citazionista Bruno Bruni, detto Bruno d’ Arcevia, al quale hanno anche sbagliato il nome scrivendo Darcevia, mentre Arcevia è la sua città natale, ridente cittadina marchigiana che negli anni ’70 rischiò di diventare la città utopica dell’arte, per mano di artisti del calibro di Burri, Ceroli, ma anche del poeta Tonino Guerra e del regista Michelangelo Antonioni, ha consegnato al padiglione Italia un olio ricco di simbologie riferite alla città di Venezia e come suo solito si è autoritratto, in questa occasione nelle fogge di un satiro. E chissà che il riferimento delle zampe non sia a "capra, capra, capra" ...

 

Archivio Provvisorio dell’ artista Antonio Marras è un’ installazione atta a custodire la memoria e ricoverare i ricordi. Sotto campane di vetro pitture e collage

 

‘Gli Immortali’ : Filippo Martinez è riuscito a portare “solo” 588 volti di guerrieri, dei 1000 che compongono questo polittico ligneo. Sulla difficoltà a separare vita e morte, vittoria e sconfitta, sogni e realtà.

 

Terracotta per la “disfatta” di Ettore Greco. E’ la sconfitta tragica dell’umanità, rappresentata da bianchi corpi contorti, sofferenti, privi di sensi.

 

Una scala “fino al cielo” per scappare da questo mondo, in ferro e neon, con monitor e video. Alta qualità e efficace sperimentalismo per Federica Marangoni e la sua Escare.

 

Mirco Marchelli, ‘Giovinastro’. Non so cosa dire: mi piace !

 

Allestimento curato nel dettaglio, musica coinvolgente, realistico, la commozione sgorga al rileggere la storia mafiosa sulle prime pagine dei giornali, nelle sculture luminose di Cesare Inzerillo, nelle 10 cabine a tema. Un’ angelica violinista accompagna la visita con passaggi di grande effetto, mentre una giovane di Salemi mi fa da guida e mi racconta con entusiasmo questo Museo della Mafia. Complimenti. Qualcosa funziona, allora. 

 

L’Italia in croce di Gaetano Pesce la riporto perché intorno a me ho visto che l’ installazione è stata apprezzata. Io l’ho trovata personalmente banale, ovvia, pomposa, inutile. Quasi peggio (impossibile !) della pornostar già utilizzata altre volte da Sgarbi (artisticamente, intendo) e del sirenetto, appollaiati sulle poltrone in poliuretano “Senza fine Unica” che riportavano la scritta TOCCARE ! TOCCARE ! TOCCARE ! e, se uno andava per toccare, i modelli pigiando un tasto facevano partire una sirena e una registrazione che imperava “Non Toccare ! Non Toccare ! Non Toccare !”. Geniale ? No, una gran cag … nara irrecuperabile !!! Però metterò la foto della ragazza in “copertina”, così … per alzare le cliccate al mio articolo !!! (Sto sorridendo, tranquilli)

 

All’esterno del padiglione Italia incontro le sculture di pietra di Vanessa Beecroft, marmi un po’ retorici dal sapore di “ventennio”, l’unica artista collocata nell’area esterna di passaggio in modo da non mischiarsi agli altri duecento, e oltre, artisti partecipanti nel compresso spazio espositivo di Sgarbi.

 

E per finire: una garanzia e un caso a parte è l’opera di Jannis Kounellis, portata alla Biennale - non senza polemiche - da Alda Fendi: sette sudari bianchi inchiodati su lastre metalliche: un’opera carica di magnetismo che come tutti i lavori dell’artista ha la capacità di affascinare al di là della location.

 

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Articolo pubblicato su Equilibriate 6 giugno 2011

 

Venezia: alla ricerca di Lumi e Nazioni

 

Camminando per Venezia, nella speranza di venire illuminata dalla Mostra internazionale della 54.Biennale e dai Padiglioni Nazionali, ottimista mi infilo in qualsiasi esposizione apra i battenti sul mio cammino.

 

Antonella Sassanelli

 

Alla Fondazione Bevilacqua La Masa, nella Galleria di Piazza San Marco, mi dà il benvenuto Xijing, luogo fantastico, nel senso di geografia e cartografia dell’ immaginazione, attraverso il percorso video dove il collettivo Xijing Men, composto dagli artisti Chen Shaoxiong (Cina), Tsuyoshi Ozawa (Giappone) e Gimhongsok (Corea) presenta usi, costumi, politica ed economia locali. Si attraversa lo spazio espositivo con un sorrisino a punto di domanda. L’installazione mi piace, dunque … non avrò capito niente ! Perché è un po’ così, qui a Venezia: se una cosa ti conquista troppo in fretta, hai come l’impressione che ci sia qualcosa che non va.

 

Al caffè Florian c’è ‘Temporanea’ con l’ artista romano Pietro Ruffo che presenta ‘Negative Liberty’, un’ installazione con libellule che si librano affinché noi si possa riflettere sulla libertà. Al fine di toglierci da questa ardua valutazione ed evitare che noi si sia troppo liberi di dare alla libertà una libera interpretazione, Ruffo ci aiuta con una frase di Kalhil Gibran ‘Se è un despota colui che volete detronizzare, badate prima che il trono eretto dentro di voi sia già stato distrutto.’

 

Al Palazzo delle Prigioni raggiungo il padiglione Taiwan. Una sala piena di poltrone e cuffie per ascoltare acustiche singolari, prestare attenzione al racconto della tradizione attraverso musica cacofonica e assistere a video di lavoro e suono. Tutto qui è espresso con sonorità.

 

Sono le 10 del mattino quando piombo nel Padiglione dello Zimbabwe, c’è l’inaugurazione in corso. Fa un po’ specie ritrovarmi con un flute di prosecco in una mano e una banana nell’ altra, ma mi adeguo velocemente e scopro che la combinazione è suprema.

 

Scendo le scale, svolto ed eccomi nel Padiglione Irlanda, dove Corban Walzer parla fitto girando intorno alla sua scultura. Percezione spaziale e architettura, pulizia e leggerezza.

 

Arrivo all’ ingresso dell’ Arsenale, ma invece di entrare, mi addentro nella foresta espressiva del dirimpettaio. Frogtopia Hongkornucopia, in cui si trovano tutti i mondi creativi di Kwok Mang-ho (alias Frog King), compresi i temi a lui tanto cari e necessari come l’ amore, la gioia, la pace e l’ armonia.

 

Ecco l’ Arsenale. Il tesserino che mi accredita come stampa mi fa sentire una miracolata. Entro ovunque, salto code e controlli, vengo omaggiata di borse con ogni tipo di materiale, gadget, brochure, press kit, CD, DVD. [La pagherò dopo … - segue]

 

Il primo incontro è con il para-padiglione creato da Song Dong, una considerevole riedificazione della casa secolare dei genitori in Cina, che ospita le opere di Yto Barrada, che onora a sua volta la nonna analfabeta e i suoi taccuini con i numeri di telefono abbinati a disegni per distinguere a chi corrispondevano.

 

Mai-Thu Perret in Flow my tears replica The Skeleton Dress di Elsa Schiapparelli e l’ impatto è decisamente attraente, come l’installazione di Ida Ekblad, A Caged Law of the bird the hand the land.

 

Nicholas Hlobo ha realizzato con materiali poveri un mastodontico uccello-vampiro, Limpundulo Zonke Ziyandilandela. Porterà bene ? Nel dubbio ci passo sotto, ci giro intorno e se prodigio dovrà essere, sarà !

Elisabetta Benassi porta microfiche e lettori automatizzati, in una stanza totalmente buia, dalla quale quando si esce si incappa in uno spettatore che brucia: è quello di fronte al ‘Ratto delle Sabine’ del Giambologna di Urs Fisher. Installazione a misura variabile, ovviamente.

Christian Marclay, The clock : 24 ore di video. Una vera maratona. Ma qualcuno l’avrà visto tutto ?

 

Scale spettacolose per Monica Bonvicini che, con quel cartello con cui avverte di non salire, fa molto biennale di Sordi.

 

E’ un bel debutto quello del Regno dell’ Arabia saudita, con le sorelle Raja e Shadia Alem, che portano con descrizione lirica riti e tradizioni.

 

‘Ora starò con mio figlio’. Nel Padiglione argentino Adriàn Villar Rojas crea una imponente giungla pietrificata di argilla, cemento e legno.

Dall’ India Gigi Scaria diverte con l’ ascensore illusionista ‘Elevator from the Subcontinent’.

Al Padiglione America Latina – IILA (Istituto Italo-Latino Americano) la mostra “Entre Siempre y Jamás” (Fra Sempre e Mai) è dedicata al Bicentenario dell’Indipendenza latinoamericana. Reynier Leyva Novo per Cuba, porta poetiche fragranze della vita, il profumo del rischio e delle illusioni, l’ odore dello sforzo e di fallaci promesse.

[… continua] Senza rendermi conto che ogni miracolo ha il suo prezzo, a metà giornata mi ritrovo con una ventina di sporte e una ventili di chili da portarmi dietro.

 

Faccio una pausa, prima di entrare al Padiglione Italia.

 

Antonella Sassanelli

 

Photo*A.Sassanelli https://picasaweb.google.com/antonellasax/LumiENazioni?authkey=Gv1sRgCMzTqMXIn8O9nwE&feat=directlink

 

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Articolo pubblicato su Sckeda Metropolitana n. 12 anno 2011

[SCHEDA METROPOLITANA, autorizzazione del Tribunale di Prato n. 13 del 28 agosto 2009.]

 

 

Federalismo Verticista

 

Furono l'avanguardia britannica, il tentativo di rinnovare una cultura isolazionista, per rompere la tradizione con un vortice di nuove energie ed esprimere l'essenzialità della vitalità e della dinamicità, tra euforia tecnologica e ricercatezza cromatica. La mostra «I Vorticisti: artisti ribelli a Londra e New York, 1914-1918», offerta dalla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, dà modo di colmare la carenza che, soprattutto in Italia, si ha verso la corrente artistica dei Vorticisti, un gruppo di artisti che fecero un percorso rilevante e autentico, tanto da distinguersi dalle altre avanguardie d'inizio Novecento. Anzi, a dire la verità, le avanguardie di inizio del XX secolo non sopportavano l’idea di ritrovarsi unite sotto un’unica bandiera, quella dell’arte, anche perché i Vorticisti, stretto un foedus (patto), da cui deriva anche la parola federalismo, nonostante l’origine cosmopolita degli artisti - Epstein era americano di origine ebraica, Bomberg inglese anch'egli di origini ebraiche, Gaudier-Brzeska un espatriato francese e Wyndham Lewis canadese di nascita - ci tenevano a rimarcare l’essere un gruppo inglese, prendendo distanza da futurismo e cubismo, benché più che apparire come la prima espressione di un astrattismo d’oltremanica, appaia come la risposta inglese alle tendenze artistiche del continente. Tanto che pare che il termine stesso “Vorticismo” sia stato escogitato da Ezra Pound deducendolo da un’asserzione di Umberto Boccioni.

La Mostra, davvero ben allestita, comincia con la presentazione delle opere più rappresentative nelle prime due stanze, per continuare dalla terza stanza in poi in ordine temporale. Si inizia con l’incontro alquanto solenne della riproduzione del Martello pneumatico (Rock Drill) di Jacob Epstein allo stato originale, ricostruzione fatta da Ken Cook e Ann Christoper RA dopo che il prototipo era stato smantellato dallo stesso Epstein per dare alla luce Busto in Metallo (Torso in Metal from `The Rock Drill'). L’artista quando aveva creato Rock Drill era affascinato dalle possibilità delle Macchine moderne, ma con la guerra in corso, ogni incanto diviene illusione e inganno, così dall’estetica della macchina all’opera ridotta a “nessuna fattezza umana”, con l’uomo sfigurato, pervaso di disumanizzazione e con la perdita di qualunque fascino verso apparecchi e congegni.

Wyndham Lewis, che si presenta con il dipinto La Folla, ha voglia di rappresentare la vita moderna attraverso la manipolazione che il Potere può fare sulle masse. E David Bomberg è presente nella seconda sala con Mudbath (fanghi) ambientato nei bagni pubblici di un quartiere di Londra. È un quadro astratto di grandi dimensioni in cui la forma è pura attraverso la rappresentazione cinetica. Un altro dei protagonisti è Henri Gaudier-Brzeska, autore di Testa ieratica di Ezra Pound scolpita nel marmo, opera che rivela l'interesse per le forme primitive, tipo Isola di Pasqua, se vista di fronte, ma dal retro fallico. Henri Gaudier-Brzeska sosteneva che l’anima della scultura sta nel rapporto diretto con il materiale usato, dunque né calchi né impronte, solo il rapporto diretto con la pietra.

Interessanti le opere di Epstein in cui raffigura gestazione e nascita, una scultura-totem di pietra ci mostra la venuta al mondo di un bimbo. Le forme sono semplificate, arcaiche, da un punto centrale scaturisce tutta l’energia. Bellissima la Figura femminile in flenite del 1913. Rossi e colori foschi, danza e movimento per William Roberts. Ma oltre alle circa 100 opere fra quadri, sculture, opere su carta, fotografie e stampe, si possono ammirare i due unici numeri di Blast (Esplosione, ma anche maledire), giornale in cui pubblicano poesie, riproduzioni di quadri, prosa. La rivista è divisa in bless (cose da benedire) e blast (cose da maledire). E poi c’è la Chatolic Antology di Pound con la copertina di sua moglie Dorothy Shakespear. Infine la parte forse più singolare e importante della mostra, le «vortografie» di Alvin Langdon Coburn con le prime foto astratte della storia. Immagini riprese con il vortoscopio, strumento che inventa per emulare l’astrattismo in fotografia. Ma né Pound, né tanto meno la critica apprezza quella invenzione e i risultati ottenuti. Così nel 1917 Alvin Langdon Coburn abbandona il vorticismo. Al termine del primo conflitto mondiale i vorticisti disillusi, si allontanano dal movimento. Il “federalismo” vorticistico dura il rombo di un cannone.

 

A.Sassanelli

 

http://www.skeda.info/scheda-_skeda_periodico_Prato/UN_ALTRO_QUI_1_0_2.html

 

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Articolo pubblicato su Sckeda Metropolitana n. 11 anno 2011

[SCHEDA METROPOLITANA, autorizzazione del Tribunale di Prato n. 13 del 28 agosto 2009.]

 

 

Il Museo del 900 a Milano

 

E’ sempre una bella notizia poter parlare dell’apertura di un museo e questo a Milano che, in controtendenza a tante città, già propone un ampio panorama di mostre ed eventi di alto valore. Il nuovo museo si trova nel cuore della città, in piazza Duomo ed offre un' ampia esposizione dell’ arte dell’ultimo secolo. Subito si viene accolti, quasi abbracciati, dal Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo, installato sulla rampa elicoidale, realizzata al centro dell’Arengario. L’opera di Pellizza da Volpedo, fu dipinta tra il 1898 e il 1902 e venne acquistata dai milanesi per pubblica sottoscrizione nel 1920 e per questo motivo questa grande fatica resterà visibile al pubblico gratuitamente per sempre. Ma veniamo al percorso museale vero e proprio: si comincia dalle Avanguardie Storiche internazionali e poi, in ordine cronologico si attraversano i grandi movimenti artistici italiani del XX secolo, fino agli anni ’70. Da Picasso, Braque, klee , kandiskij al Futurismo, nalla sala detta “delle Colonne” ecco la monografia dedicata a Umberto Boccioni, con una collezione che comprende il manifesto pittorico del futurismo Elasticità (1912). Quindi si può godere di opere di Giacomo Balla, Carlo Carrà, Gino Severini, Ardengo Soffici, Achille Funi, Fortunato Depero, Mario Sironi. Altre monografie vedono protagonisti Giorgio Morandi, Arturo Martini, Giorgio de Chirico, Fausto Melotti, Lucio Fontana, Piero Manzoni e Marino Marini. E' stata dedicata una bella sala a de Chirico con, per lo più, le storiche e preziose opere degli anni ’20. Personalmente mi sarebbe piaciuto vedere anche un “Bagno misterioso”, questa serie di lavori così puliti, netti, percepibili. Una produzione tra le più alte e liriche di tutti i tempi. Per Fontana è stato allestito il salone della torre dell’Arengario, con bella vista sulla “Madunina” : uno spettacolo nello spettacolo. Si può ammirare il soffitto spaziale realizzato da Fontana nel 1956 per l'Hotel del Golfo a Procchio, all'isola d'Elba e la luce spaziale, con i neon che si duplicano riflettendosi nelle vetrate che danno sul Duomo e sulla Galleria. Burri è presente con opere di notevole importanza storica, ma non con la produzione che più esplica le ragioni del suo presentarsi degno di essere considerato tra i più grandi artisti del secolo scorso. E si prosegue con gli anni ’50: Emilio Vedova, Giuseppe Capogrossi, Gastone Novelli, Osvaldo Licini, Tancredi Parmeggiani, Carla Accardi. La frazione finale è dedicata agli anni sessanta, interessante che Manzoni sia presente con tutte le sue opere più note, all’Arte Cinetica e Programmata ( molto gradita dai più piccoli !), Pop Art, Pittura Analitica e finalmente una manciata di Arte Povera, tra cui Alighiero Boetti, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Giuseppe Penone, Jannis Kounellis, e Gilberto Zorio. Dalla Galleria d’Arte Moderna di Villa Reale è stata trasferita la collezione di Marino Marini, ecco perché si incontrano ben 77 titoli suoi, mentre di altri artisti ne compare uno solo e magari neanche di così rilevante fattura. L’ultimo ventennio, poi, non è pervenuto, almeno qui al Museo del Novecento. Speriamo sappiano porre rimedio e che non considerino l’ Arte arrivata al capolinea.

 

Antonella Sassanelli

 

http://www.skeda.info/scheda-_skeda_periodico_Prato/UN_ALTRO_QUI_1_0_1.html  

 

 

 

KOTOTAMA 

 


Ricercare la radice del pensiero per comprendere l’ origine comune e l’ unità di Noi tutti.

 

 

 

 

 

 

Il kototama è l’energia vitale, che dà vita alla coscienza e alla esclusiva capacità degli essere umani di tradurre i sentimenti in pensiero astratto e quindi in creatività. Tenendo conto della sostanza di cui sono fatti i materiali, e non il fine per cui sono stati creati, Ignazio Fresu ribalta le convenzioni del consumo, infondendo vita naturale a prodotti artificiali. Ed ecco che l’installazione “Kototama” si annuncia attraverso i suoni sacri, il kotoha: la vibrazione (ha) dell’onda (koto) luminosa della vita. Dopodichè ognuno interpreterà l’ opera secondo la propria verità e dunque sarà possibile vedere momenti di fuga, tentennamento, disunione ed altri di armonica conservolezza. Un’opera che nasce dalla fascinazione del suono e del vento, che si concretizza attraverso la materia plastica, la polvere, il marmo, e si inserisce in un territorio florido tanto quanto habitat quanto come storia.


Testo e foto di Sassanelli Antonella


video: https://www.facebook.com/video/video.php?v=1118879048132

Castello di carte

 

Il castello di carte in senso figurato è un progetto destinato a fallire, come d'altronde nel dizionario filosofico entropia è la tendenza sostanziale a perdere irreversibilmente parte del proprio ordine o delle proprie qualità. Nell'istallazione di Ignazio Fresu questo concetto è rappresentato - benché contrastato dalla visione positiva del mutare come evoluzione, come trasformazione, piuttosto che come perdita - in modo attento e sottile da tessere "fossilizzate", erose dal tempo, come reperti archeologici di un "come eravamo domani". Ne consegue uno spiazzamento temporale in cui il Presente si sostituisce al Futuro e insieme lo si confonde con un Passato senza tempo.

Lo scultore stesso afferma che " il castello di carte, nella sua intrinseca precarietà, è metafora del divenire e dall'ineluttabilità del suo lato più oscuro rappresentato dall'entropia. Ciò nonostante, come il castello di carte, che proprio per la sua peculiare caratteristica di mostrarsi instabile ed effimero ci pone il dubbio che questa sia la sua reale natura, al contrario possiamo scoprire come esista una persistenza dell'essere al di là dell'apparire, suggerendoci che forse le cose che non vediamo più, non sono improvvisamente entrate nel nulla ma sono semplicemente scomparse dall'orizzonte degli eventi. Continuano ad esistere in una dimensione che non è quella apparente ed è pertanto proprio in questo divenire che risiede l'eternità di tutto."

 

C'è dunque un'animazione oltre che un'anima in questi frammenti di Fresu, che riesce a parlare non solo tramite la forma e l'estetica delle sue sculture, ma anche attraverso i materiali usati, che sono la migliore risposta a chi oggi cavalca con banalità la moda del riciclo, rendendo concreto il riutilizzo e la restituzione di nobiltà a squallidi scarti industriali e domestici, quali gli imballi di polistirolo o interi armadi gettati nei cassonetti.


Antonella Sassanelli - 
Nov.2008